Gentilezza Amorevole: rapporto con Sè e con il Mondo
La persona con cui sicuramente passeremo tutta la nostra vita siamo noi stessi, eppure siamo le persone che trascuriamo maggiormente.
Siamo abituati a mettere in primo piano tutto il resto, i doveri, le altre persone, i bisogni altrui, e trascuriamo l’unica persona che sicuramente ci farà compagnia fino alla nostra morte.
E’ paradossale, ma questo è l’atteggiamento ordinario della maggior parte delle persone, sicuramente è l’atteggiamento ordinario della maggior parte dei miei pazienti. Infatti, spesso, è terapeutico il solo farli accorgere che loro esistono, farli riconnettere alla percezione di se stessi, ad una percezione amorevole di sé.
Io per prima sono passata attraverso questo percorso, c’è stato un tempo in cui, l’opinione che l’altro aveva di me, lo sguardo attraverso cui mi vedeva (o pensavo che mi vedesse), mi formavano ed informavano, per cui la mia vita non era altro che un riflesso di ciò che gli altri proiettavano su di me, io non avevo voce in capitolo.
A partire dalla mia condizione estetica di bambina e poi ragazza con l’alopecia, ho ricevuto l’informazione, sin da piccola, che fosse qualcosa di sbagliato, da risolvere assolutamente, ad ogni costo. Non era necessariamente un’informazione diretta, a volte era semplicemente un’evidenza dei fatti, ad esempio il sottopormi a “cure” molto invasive che rischiavano di danneggiare altre parti del mio corpo pur di farmi ricrescere i capelli, altre volte erano proprio frasi dirette di denigrazione e disapprovazione.
Ho lasciato che, tale realtà esterna a me, penetrasse dentro di me, formandomi ed informandomi, l’ho fatta mia, ho iniziato a percepirmi anche io in quel modo e, vi assicuro, il mondo interno ed esterno in cui vivevo non era affatto piacevole.
Poi ho iniziato il mio percorso interiore, dove il primo passo è stato proprio accogliere quella bambina che a 7 anni anni aveva perso i capelli ed iniziare a considerare quell’evento, ed il mio attuale aspetto, come uno dei tanti fenotipi che l’essere umano può manifestare.
Ho smesso di paragonarmi all'”ideale”, la “norma” che in me si era formata e ho iniziato a considerare me stessa solo in rapporto a me stessa, senza confronti, senza parametri cui aderire, solo io, nella mia unicità.
La sofferenza deriva dal paragone con un’immagine di sé che non corrisponde alla realtà di sé,
un’immagine che è stata costruita e che abbiamo fatto nostra, dalla nostra famiglia, dalla società, dai social media…non importa, non sono io!
Se non ho un”altro” con cui paragonarmi, non c’è “più o meno”, “migliore o peggiore”, ci sono solo io! Io con le mie forme, io con i colori che mi piacciono o non mi piacciono, io con i miei modi, io e basta! Pensate alla libertà che può derivare dall’essere se stessi e basta, dal permettersi di fornire il proprio personalissimo e unico contributo al mondo!
Essere pienamente se stessi e permettersi di portare se stessi nel mondo, non significa certo escludere il mondo e vivere in un proprio minuscolo universo. Significa amarsi e rispettarsi in ogni piccola parte di sé, partire dal presupposto che tutto ciò che io sono e mi appartiene è un dono, il mio personale contributo in questo mondo e poi fare i conti con questo mondo.
Se resta tutto incluso e concluso in se stessi, rischia di diventare superbia, narcisismo, rischiamo di creare un’immagine di noi e cercare di riconfermarci continuamente. Il rapporto con il mondo ci fornisce degli stimoli continui che ci fanno incontrare le nostre perenni trasformazioni, grazie all’incontro con l’altro mutiamo, evolviamo.
L’importante è che, nell’incontro con l’altro, ci sia apertura ma non sottomissione, che sia un incontro paritario in cui ognuno porta se stesso e nessuno “forma” l’altro, nessuno concede all’altro potere su di sé, ma ognuno incontra l’altro in amore verso di sé e verso le aperture che lo scambio con l’altro può donare.
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